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Peggy Guggenheim: quando l’arte diventa vita

Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim nacque nella Grande Mela nel 1898, nipote del celebre Solomon Guggenheim, appassionato d’arte, fondatore dell’omonimo museo neyworkese. L’amore per l’arte Peggy Guggenheim se lo portò dietro per tutta una vita, come un’eredità genetica. 
Arte che, nel corso degli anni, divenne terapeutica, fonte di gioia e riparo dalle tristezze a cui la vita l’aveva costretta ad affacciarsi: la tragica morte del padre a bordo del Titanic, una serie lunghissima di relazioni amorose travagliate, una figlia pittrice dall’animo tormentato.
Rifugio e speranza, creazione dal nulla e visione del mondo, questo era, per Peggy Guggenheim, l’arte.

Gli inizi nel mondo dell’arte

Indipendente dal punto di vista finanziario grazie all’eredità ricevuta una volta compiuti ventun’anni, Peggy Guggenheim si trasferì a Parigi alla fine degli anni ’20. 
Non fu un viaggio da turista, il suo: si immerse completamente nell’arte classica e rinascimentale, consapevole che Parigi sarebbe stata solo la prima tappa di un lungo percorso:

“Sapevo dove si poteva trovare ogni dipinto in Europa, e sono riuscita ad arrivarci, anche se ho dovuto passare ore in una piccola città di campagna per vederne solo uno”

Divenne, nel frattempo, amica intima di donne appartenenti al femminismo letterario e artistico, tra cui Romaine Brooks, Djuna Barns e Natalie Barney, e di geni avanguardisti come Marcel Duchamp, amico e mentore di tutta una vita che, come Guggenheim sosterrà qualche anno dopo : “mi ha insegnato tutto quello che so sull’arte moderna”.

Peggy Guggenheim e il trasferimento a Londra

Dopo aver ricevuto un’ulteriore parte di eredità alla morte della madre nel 1937, Guggenheim iniziò a lasciare sempre più spazio all’idea di aprire una galleria d’arte, complice anche l’amicizia con Duchamp che: “ha organizzato tutte le mie mostre, ha fatto tutto per me”.

Venne inaugurata così a Londra, nel 1938, la galleria Guggenheim Jeune che ospitò, per la sua prima mostra, 30 disegni di Jean Cocteau
I mesi e gli anni successivi scorsero rapidi e puntellati da eventi: la prima mostra personale di Kandinsky in Gran Bretagna, le opere di Wolfgang Paalen e Yves Tanguy, le esibizioni collettive di scultura e collage con Henry Moore, Alexander Calder, Jean Arp, Pablo Picasso, Georges Braque, Raymond Duchamp-Villon, Kurt Schwitters e Constantin Brancusi. 

Pablo Picasso, Lo Studio (L’Atelier) (1928). Foto: per gentile concessione della Collezione Peggy, Venezia.

Il tempo si srotolava veloce sotto gli occhi di una Peggy Guggenheim sempre più affamata d’arte: l’abitudine di acquistare almeno un’opera ad ogni mostra si fece rito, simbolo di un lavoro che, perse le sembianze del “mestiere”, si era trasformato in purissima passione per le arti visive ed il collezionismo. 
Come sostenuto dallo storico d’arte Donald Kuspit: “L’arte ha dato un senso alla sua vita… il Moderno, gli artisti d’avanguardia hanno confermato il suo senso di essere, in qualche modo particolare, un’emarginata. L’arte è diventata il suo modo di ritrovarsi emotivamente”.

La fine dell’esperienza londinese

Eppure, nonostante i riconoscimenti positivi da parte della critica, la galleria Jeune non fu in grado di raggiungere una posizione economicamente solida.
La soluzione trovata da Peggy Guggenheim fu drastica: chiudere la galleria Jeune e concentrarsi sul progetto per l’apertura di un museo d’arte contemporanea insieme all’amico, e storico dell’arte, Herbert Read
Era il 1939 quando la Guggenheim Jeune chiuse i battenti con una festa che celebrava i ritratti a colori di Gisele Freund proietatti su tutte le pareti della galleria.
Guggenheim lasciò a quel punto Londra alla volta di Parigi, alla ricerca di gran parte delle opere che, con l’aiuto di Herbert Read, aveva appuntato su un quaderno, necessarie per l’inaugurazione del futuro museo d’arte contemporanea. 

Parigi: alla ricerca di opere d’arte

Come colta da un rapimento amoroso Guggenheim non considerò la guerra, i pericoli, le difficoltà che avrebbe potuto incontrare e si gettò a capofitto nell’impresa del recupero delle opere delle quali aveva bisogno: troppo forte era il desiderio di dar corpo a una nuova avventura per lasciarsi ostacolare dalla Storia.
Aiutata da alcuni amici, tra cui Howard Putzel, un mercante d’arte, e Nelly van Doesburg, vedova del pittore Theodore van Doesburg, oltre che dalla disperazione dei tempi che condusse moltissimi, tra artisti e mercanti d’arte, a vendere ansiosi tutte le proprie opere per fuggire lontano dall’invasione tedesca, Guggenheim riuscì ad acquistare i lavori di Picasso, Ernst, Magritte, Man Ray, Dalí, Mirò, Klee, Chagall, Max Ernst ed altri artisti, con soli 40.000 dollari a disposizione.

Ritorno alle origini…New York

Nel 1942, Guggenheim aprì a New York la Art of This Century Gallery, con sezioni dedicate al Surrealismo, all’arte cinetica, al cubismo e all’arte astratta. Come osservato dalla storica dell’arte Dore Ashton, la sua “galleria fu una delle prime gallerie internazionali a New York City a mescolare arte americana ed europea”

La Art of This Century Gallery. Foto: via huffingtonpost.com

Celeberrima fu la sua apparizione, alla première della galleria, con un orecchino creato per lei da Calder e un altro da Yves Tanguy, per esprimere la propria imparzialità tra l’arte surrealista e quella astratta, entrambe da lei sostenute. 

“La città dei miei sogni”, parola di Peggy Guggenheim

Il temperamento di Peggy Guggenheim fu irrequieto sin dalla prima giovinezza e tale rimase, poco duttile, fino alla maturità: annoiata dalla galleria neworkese, si spostò, nel 1947, a Venezia, che definì più volte la città dei propri sogni.
Nel 1948 la Biennale la invitò ad esporre la sua collezione e per la prima volta opere di artisti del calibro di Pollock e Mark Rothko, per citarne alcuni, vennero mostrate al pubblico europeo.

Da quello che accadde alla Biennale di Venezia si riesce ad avere, forse, una più chiara percezione del ruolo che Peggy Guggenheim giocò nel mondo dell’arte del secolo scorso: mecenate, certo, protettrice degli artisti, ma soprattutto ponte capace di mettere in contatto le nuove avanguardie artistiche e un mondo apparentemente sospettoso che, con lentezza, imparò ad accettare, prima, e ad amare, poi, l’arte contemporanea.
Senza di lei, i nomi di artisti a noi oggi noti risuonerebbero vuoti, privi di significato.

Foto: Ray Wilson. Per gentile concessione degli Archivi della Collezione Peggy Guggenheim.

La sua casa veneziana, ubicata a Palazzo Venier dei Leoni, un edificio settecentesco sul Canal Grande, fu centro di riferimento per scrittori e artisti, luogo accogliente e mondano dove promuovere talenti emergenti.  
Nel 1951 Guggenheim aprì la sua casa al pubblico e nei decenni successivi prestò la sua collezione a vari musei in Europa e negli Stati Uniti fino al 1979, anno della sua morte.

Peggy Guggenheim: film, libri, luoghi del cuore…

Immergersi nel mondo di una delle donne più eclettiche del secolo scorso, è possibile: gli omaggi a Peggy Guggenheim, infatti, nel mondo delle arti, sono molteplici come anche le testimonianze della nipote della mecenate, Karol Veil, che ha condiviso con la stampa i luoghi del cuore della nonna nella sua adorata Venezia.

Nel 2015 è stato presentato in anteprima al Tribeca Film Festival “Art Addict” , un film documentario diretto da Lisa Immordino Vreeland sulla vita di Peggy Guggenheim.
Chi non fosse soddisfatto della narrazione cinematografica può sempre scegliere di risalire direttamente alla fonte originale, la collezionista stessa, che in un’autobiografia dal titolo italiano “Peggy Guggenheim, una vita per l’arte”, racconta in prima persona la propria vita, senza eludere alcun dettaglio.

Per provare a rivivere un po’ del fascino di quegli anni, oltre a un’importante sforzo immaginativo, si possono raccogliere in un quaderno i nomi dei luoghi che Peggy Guggenheim amava frequentare, dei quali spesso ha parlato la nipote Karol Veil durante le proprie interviste: EL Souk, a Venezia e i giardini del Palazzo Venier dei Leoni, per citarne un paio.

Se invece vi rivelaste nostalgici di quel periodo che fu il primo novecento, tra caffé colmi di letterati e artisti e gallerie appena inaugurate, ecco qualche indirizzo da non lasciarvi sfuggire: l’Atelier Bateau-Lavoir, a Parigi, che ospitò Picasso, Apollinaire, Gauguin, Georges Braque, è una tappa imperdibile, come anche la casa di Gertrude Stein al 27 di Rue de Fleurus, sempre nella capitale francese, salotto per eccellenza per artisti del calibro di Cezanne, Matisse e Picasso.

Ispirazione… Jackson Pollock